Gruppo Speleologico Giavenese “E. Saracco” Corso di Speleologia 2016
“Quel buco nella terra” Osservazioni di un allievo qualunque
Riporto in questo breve articolo le mie impressioni di allievo del corso di speleologia appena conclusosi.
Le mie precedenti esperienze in ambiente ipogeo erano state semplici uscite nelle parti turistiche di alcune grotte presenti sul territorio nazionale. Una volta giunti al termine del percorso, la guida normalmente indicava un punto nel buio al di là della transenna, del cavo o dello spezzone di corda che delimitava lo spazio a disposizione dei visitatori, affermando che quella parte della grotta fosse il territorio degli “speleologi”. Troppo difficile e pericoloso per portarvi i turisti.
Ho sviluppato, nel tempo, una percezione errata delle grotte: luoghi difficili da raggiungere, angusti, oscuri come vuota notte senza luna o stelle. Luoghi privi di fascino. E cosa dire degli speleologi? Nella mia mente di ragazzino, solo persone con una buona dose di incoscienza potevano concepire l’idea di infilarsi negli anfratti che si aprivano di tanto in tanto ai lati del percorso di visita. Essi si avventuravano alla ricerca di qualcosa che era per me assolutamente incomprensibile. E lo facevano correndo probabilmente dei rischi non indifferenti. A che scopo impegnarsi in tutto ciò?
La percezione che avevo si è rivelata assolutamente distorta ed ogni mio pregiudizio si è rapidamente dissolto con il corso di speleologia. Seguendo infatti gli istruttori del gruppo di Giaveno, ho avuto modo di osservare sotto una nuova luce tanto l’ambiente ipogeo quanto coloro che lo esplorano.
Le grotte, questi antri sconosciuti e misteriosi, si sono rivelate stupefacenti creazioni di Madre Natura. Sono infatti luoghi unici, di forme e colori mai visti, generati dalla lenta ma incessante azione dell’acqua e dell’aria, che hanno aggredito la roccia del mondo per milioni di anni, plasmando nel silenzio l’ambiente in ogni suo dettaglio. Piccole strettoie, in cui si muoverebbe agilmente solo un bambino, seguite subito dopo da vasti saloni sotterranei, la cui esplorazione richiede l’impiego sapiente di corde ed attrezzatura in manovre che espongono lo speleologo al vuoto ed alla verticalità che nulla hanno da invidiare all’attività alpinistica. E poi foreste intere di stalattiti e stalagmiti, che calano dall’alto e sorgono dal terreno come a volersi riprendere quello spazio che l’acqua e l’aria hanno tolto alla roccia. E cascate d’acqua dal rumore assordante che sembrano nascere dal buio, per poi trasformarsi in rapidi fiumi sotterranei che spariscono agilmente tra le rocce, tornando così nel buio.
All’interno di questo ambiente affascinante si muovono gli speleologi: non più i personaggi esaltati ed incoscienti che immaginavo da ragazzino, ma estimatori, rispettosi e consapevoli, della natura che ci circonda, vista ed apprezzata da un punto di osservazione particolare e privilegiato. Andare in grotta ci consente infatti di osservare la natura in una delle sue manifestazioni più insolite e curiose.
Ho imparato che gli speleologi sono però anche coraggiosi esploratori. Nell’epoca in cui viviamo, fatta di navigazione satellitare e di smartphone sempre connessi, ogni piccola porzione di superficie terrestre è stata ampiamente esplorata, documentata e recensita. Gli unici ambienti ancora da esplorare sono le profondità: gli abissi oceanici da un lato, le grotte dall’altro. Ecco quindi che andare in grotta ad esplorare i “rami nuovi” ci consente di tornare a provare il brivido, ormai dimenticato, che accompagnava gli
esploratori rinascimentali che navigavano verso l’ignoto: l’emozione di mettere piede in luoghi in cui nessuno è stato prima. E quegli anfratti stretti e bui, che da ragazzino osservavo con inquietudine aprirsi ai lati del percorso di visita, si sono trasformati in porte verso l’ignoto, che ci chiamano e ci invitano a continuare la millenaria attività di esplorazione che da sempre l’uomo ha condotto, spinto dalla mai sopita sete di conoscenza.
Anche questa è speleologia.
Il corso adesso è finito, ma il confronto con gli istruttori, le uscite didattiche a cui ho partecipato e la nuova consapevolezza che porto con me hanno gettato le basi per poter continuare l’attività di esplorazione ipogea non più come un intimorito visitatore che si sente fuori posto, ma come speleologo.
Niccolò Solaro, allievo del corso. Novembre 2016