Mi arriva su facebook l’invito al XXVI corso di speleologia, dal 13 settembre al 12 novembre 2017. Misteri del web, non so chi me lo manda. Do per scontato che sia Domenico Tropeano, geologo appassionato. La locandina indica come prima serata di presentazione la sede CAI di Pinerolo, a seguire Giaveno. Contattare Monica o Fabrizio. Sono previste lezioni sui materiali e attrezzature, sul carsismo, sulla storia della speleologia, la topografia, i nodi, il primo soccorso, palestre indoor e outdoor e soprattutto le uscite in grotta. Telefono subito a Monica per qualche dettaglio in più e decido per la serata a Pinerolo, pur abitando a Oulx. Per qualcuno questo improvviso richiamo degli anfratti bui, della geologia e delle ratavuloire è una sorpresa spiazzante, per il mio prof del liceo è la logica conseguenza delle letture di Julius Verne, per me è ricevere finalmente la giusta formazione per assecondare quell’istinto naturale che già da bambina mi portava nelle cavità, naturali o bunker, senza paura, per inseguire animali o cercare reperti bellici. Mi chiedo solo se passati i 40 e con qualche chilo in più potrò ancora farcela a iniziare un corso così impegnativo, senza una preparazione fisica specifica, come hanno per esempio quelli che arrampicano.
Si sa, il primo impatto è quello che conta. A Pinerolo la sede CAI è nel centro storico. Affascinante, ma in ZTL, ci arrivo con il GPS del cellulare, che quasi mi fa fare il giro di San Maurizio a piedi…per fortuna fuori della sede c’è Arianna, sorridente e attenta, anche se sta scherzando con un gruppo di ragazzi barbuti, intuisce che potrei essere una potenziale “corsista” e mi butta dentro. Riconosco Monica, la direttrice del corso, sorriso smagliante e carattere deciso, i compagni di corso. Subito mi siedo vicino a Daniela…mi sembra di averla già vista. La sensazione è reciproca e in effetti scopriremo di esserci incontrate una volta alla guardia medica di Oulx (come è piccolo il mondo!) e Daniele, vigile del fuoco volontario. La presentazione di cosa è la speleologia la fa Federico con dei video delle uscite in grotta e delle lezioni ad allievi di corsi precedenti. Uno spasso. Il clima è allegro, percepisco subito che ci sono persone positive, piene di vita, entusiaste di quello che fanno. Vengono forniti dettagli sull’abbigliamento: tutone stile meccanico: ci si sporca in grotta, c’è fango. Ricambio completo, mutande comprese: ci si bagna in grotta, c’è acqua. Guanti, mefisto, materiali caldi, ma che lascino traspirare il sudore: può fare freddo in grotta e si fatica. Zaino da 50 litri e scarponcini perché spesso l’auto la si lascia a ore di cammino dall’ingresso. I cellulari non prendono sottoterra e può passare una giornata intera prima di poter avvisare a casa che si è usciti. A fine serata ci chiedono chi si iscriverà e se siamo disposti a girare anche nella sede di Giaveno, obbligatorie le palestre interne (Coazze) e esterne (Borgone), chi le salta è fuori. Alziamo tutti la mano.
Il lavoro su turni mi frega subito, perdo la prima uscita in grotta, quella “turistica” che serve a capire se veramente si è disposti a passare la domenica sottoterra anziché al mare, in spiaggia, o in cima a qualche bella montagna, ma soprattutto serve a fare gruppo e imparare i nomi: Mauro, Stefano, Matilda, la più giovane e tosta, con il suo papà Sergio, Fabrizio, Maddalena, Luca, Giuseppe. Con più fatica quelli degli istruttori, perché si chiamano per soprannome…Fricu, Aziz (3 settimane per capire che il vero nome è Enrico ed è piemontese), il Fungo, Brasa, Fafo, Peppo, John Wayne…no dico: ma siamo sicuri??!
Finalmente faccia a faccia con l’attrezzatura, in parte acquistata, in parte data in prestito dal gruppo CAI: corde, longe corta e longe lunga, discensore, maniglia, croll, staffa, moschettoni, caschetto con frontale, imbrago. Ecco, l’imbrago: è diversa da quella per arrampicare, questa ha una fettuccia molesta collegata alla pettorina, sul davanti che devi stringere quasi ripiegandoti su te stesso, strizzando ogni cm di ciccia, capendo che le rotondità sono, nel caso specifico, zavorra e ingombro. E se non lo fai non riesci a risalire.
La palestra della sede CAI di Coazze è ben attrezzata: saliamo uno alla volta con un istruttore che ci segue. Dobbiamo imparare a usare la maniglia per risalire sulla corda e il discensore per scendere, ovvio, certe grotte sono raggiungibili solo dopo metri di pozzi profondi. Se a scendere “tuti i sant a jutu”, a salire è questione di capire il movimento delle gambe, quella “pompata” con il piede sotto e indietro rispetto al sedere, utilizzando la staffa, mentre la maniglia guadagna corda in salita, scorre nel croll e tu la recuperi sotto di te. Personalmente ho apprezzato proprio ogni cm del muro dipinto di azzurro, quel famoso faccia a faccia con te stesso, perché sono rimasta appesa come un salame, con il croll che non si apriva, incapace io di togliere la tensione, il peso sbilanciato in fuori, un baricentro che solo un fisico avrebbe potuto capire e l’uso della forza delle braccia perché la pompata di gambe non era cosa. Ma la capatosta e la vicinanza di Monica mi hanno fatto arrivare in cima… e ridiscendere. Conquistandomi i primi lividi sulle ginocchia.
La palestra esterna a Borgone va meglio. Si sale in doppia con un istruttore a fianco o che ti precede e ti aspetta. Capito con Roberto, in realtà professore di italiano, che coglie la potenzialità di istruire la peggiore delle allieve e portarla fino in cima. Sono la prima, anche perché per mezzogiorno devo correre al lavoro. L’imbrago alla fine mi tatua autoreggenti semipermanenti.
Frattanto le lezioni teoriche alla sede CAI di Giaveno e poi di Pinerolo vengono portate avanti da relatori eccezionali: carsismo, zona vadosa e zona freatica, clima, topografia (prendile delle coordinate in grotta che non funziona il GPS), Paleolitico, Mesolitico e Neolitico, gli Assiri che esplorano le grotte già nel 1100 a.c. delle sorgenti del Tigri, in quello che oggi è il Kurdistan iracheno e poi le invenzioni di PETZL, il signor Fernand Petzl, appassionato speleologo, ma anche meccanico, per cui si inventa e forgia gli attrezzi per la discesa e risalita dei pozzi, mandando in soffitta le pesantissime e ingombranti scalette usate fino ad allora… Materie normalmente ostiche rese accessibili a tutti e perfino divertenti, tanto che questo gruppo variegato di adulti, unito dalla curiosità di esplorare le viscere della terra, rimane sveglio fino a dopo le 23…e fa fatica ad andarsene, ogni volta. La lezione sul primo soccorso in grotta si svolge con esercitazioni che suscitano ilarità, complice la catena olandese per sollevare a mano un politraumatizzato, ma anche perplessità perché capiamo un concetto fondamentale: non devi farti male in grotta. Anche una banale slogatura può essere molto rischiosa e può passare qualche giorno prima di essere tratti in salvo fuori. La serie di racconti degli ultimi incidenti tragici accaduti in grotte europee (si parla di -1000) avrebbe potuto scoraggiarci. Caparbiamente prevale l’ottimismo e l’orgoglio di scoprire che gli italiani sono tra i migliori soccorritori speleologici e in particolare tra i piemontesi abbiamo dottori che sono anche speleologi. In ogni caso ci rassicura tutti sapere che in questo gruppo di allievi c’è una dottoressa, 2 vigili del fuoco e 1 A.I.B. …non si sa mai…
Per problemi di salute, lavoro e impegno sull’incendio devastante di Mompantero, alla fine di uscita in grotta sono riuscita a farne una sola, ad Arma del Graj, tra Garessio e Ormea. Sveglia alle 4, appuntamento al Bingo di Rivoli per la Valle di Susa e al Mc Donald per la Val Chisone. Avvicinamento in auto, avvicinamento a piedi, condivisione delle scorte di cibo e acqua che gli istruttori trasporteranno per tutti nelle sacche da speleologo e finalmente si va. Primo pozzo semplice, poi il cambio con un tetto, poi il pozzo verticale nel vuoto, poi un altro e poi la caverna, quella dove sono stati trovati anche dei resti di orso.
Ho capito quando dicono che sottoterra la percezione del tempo cambia. Ci ho passato più di 8 ore, ho mangiato solo un paninetto, la fatica mi ha fatto sudare così tanto che manco mi è più scappata la pipì e sono rimasta appesa al cambio come un salame attorcigliato con gli istruttori disperati e pazienti, a tratti divertiti. Ma da sempre le difficoltà per me si affrontano con il motto “boia chi molla”, anche se in realtà Monica durante la risalita mi consigliava “assumi una posizione verticale da essere umano e non da geco spalmato sulla roccia”…mentre uno degli istruttori impietoso scattava foto da sotto…ma mi teneva anche la corda tesa per aiutarmi nella risalita…
All’uscita i fedeli compagni di corso e la pizzata finale tutti insieme prima di rientrare a casa, hanno cementato l’amicizia. Il gruppo whatsapp con scambio di battute, condivisione delle foto e dei video ha fatto il resto…
Quest’anno per me è andata così, in grotta si va solo se stai bene. In ogni caso intendo continuare e spero di mantenere i rapporti umani con le belle persone che ho avuto la fortuna di incontrare, istruttori e compagni di corso. Dovrò ripartire con le palestre e rinviare l’uso di gonne corte a tempo indefinito…
Però una curiosità mi è rimasta: ma i resti dell’orso al fondo della caverna…significa che la usava anche il plantigrado e quindi se entrava e usciva lui possono farcela tutti, o significa che, una volta entrato dentro, non è più riuscito ad uscire???
Elisa Ramassa